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Escursione di tre giorni nelle Dolomiti del Brenta. Partiamo da Marchirolo (VA) in direzione di Madonna di Campiglio (TN), con l’intenzione di andare a fare due ferrate che fanno parte del famoso percorso delle Bocchette: la A.Bennini e la SOSAT. Marino le ha già fatte qualche tempo fa con il figlio, per me è la prima volta.
PRIMO GIORNO
Arrivati a Madonna di Campiglio (1550m) proseguiamo verso Campo Carlo Magno (1640m) per prendere la cabinovia del Grostè che ci porta fino all’omonimo rifugio (2261m). Non è una bellissima giornata ed il paesaggio, caratterizzato da un altopiano carsico, è avvolto dalla nebbia. Ci muoviamo in un ambiente lunare verso il Passo del Grostè (2442m) in cerca della “Ferrata A. Benini”. Gruppi di persone si aggirano tra la nebbia e man mano che ci avviciniamo al passo, le loro voci si fanno sempre più lontane. Troviamo finalmente le indicazioni per la “Benini” ed in breve siamo sotto l’attacco della via. Un cartello rosso descrive il percorso come impegnativo e consiglia di controllare l'attrezzatura prima di intraprendere la ferrata. Mangiamo qualcosa, indossiamo l’imbragatura ed il casco, foto di rito e via!! Siamo pronti ad affrontare l’avventura. Sono veramente emozionato, non ho mai fatto una ferrata, e non so come reagirò. Non soffro di vertigini e questo mi tranquillizza. Marino mi conferma che la ferrata è sicura, e anche se si attraversano grandi strapiombi, le cenge da percorrere sono abbastanza larghe e nei punti più esposti sono attrezzate con corde e chiodi fissi. Iniziamo ad aggirare il massiccio di Cima Brenta (3150m) e la vista dei bellissimi paesaggi che si aprono davanti a noi ci fa restare senza fiato. La bellezza selvaggia delle Dolomiti, le affascinanti vedute, e i panorami ricchi di contrasto, vestono questo luogo di un fascino indescrivibile. La tensione iniziale si è sciolta ed adesso mi sento più sicuro. Ci muoviamo con calma, senza mai abbassare la guardia, affrancandoci con i moschettoni alle corde fisse. Ogni tanto ci fermiamo a fare qualche foto e fa un certo effetto guardare indietro le enormi pareti alle quali sono attaccate le piccolissime figure degli altri escursionisti che percorrono le cenge.
Questo primo tratto termina in discesa, alla bella Bocchetta dei Camosci (2784m), con ottima vista sul
l’ Adamello (3530 m), il più vasto ghiacciaio delle Alpi italiane. Il sentiero riprende subito attraverso le numerose cenge che si sviluppano alle pendici della cima Falkner (2990m), dove una targa metallica indica il punto più alto dell'escursione (2910m). Ora inizia un lungo tratto in discesa attrezzata, al termine del quale una nuova cengia ci conduce sul terrazzo che sovrasta la Bocca del Tuckett e quindi alla Bocca Alta di Vallesinella (2875m), da dove è già visibile il rifugio Tuckett (2275m). Imbocchiamo il sentiero Dallagiacoma (n.315) e proseguendo tra crepacci e canaloni sempre ben attrezzati di scale e corde fisse, ci immettiamo sul sentiero che scende dalla vedretta del Tuckett, ed in poco tempo siamo al rifugio che ci accoglie avvolto da una spessa nebbia e da un freddo pungente. Di proprietà della Società Alpinisti Tridentini (SAT), è composto da due edifici, per un totale di 112 posti letto ed è aperto dal 20 giugno al 20 settembre. Sorge ai piedi del Castelletto Inferiore di Vallesinella (2601m) e della Vedretta di Brenta inferiore. Dividiamo la stanza con quattro tedeschi che la mattina scaleranno la Cima Brenta (3150 m). Posiamo gli zaini e scendiamo a cenare. Il rifugio è stracolmo di tedeschi che mangiano canederli e bevono birra. Finita la cena, ci ritiriamo in camera a cercare di riposare. Domani ci sposteremo al rifugio Brentei (2120m), percorrendo la via ferrata del SOSAT. Il percorso è più impegnativo ed il punto più difficile sarà superare una scala, la famosa “scala degli amici”, che appesa nel vuoto, supera i venti metri di altezza. Speriamo bene!
SECONDO E TERZO GIORNO
Sveglia alle h 6:00. I quattro tedeschi che condividevano la camera con noi sono già partiti da un pezzo. Colazione veloce ed alle h 7:30 siamo già sul sentiero. Appena sopra di noi quel che è rimasto della Vedretta di Brenta Inferiore, che nel corso degli ultimi anni si è fortemente ritirata, mentre più in alto sulla destra è ancora notevole la fronte ghiacciata della Vedretta Superiore di Brenta. Lasciamo il sentiero che procede verso la Bocca del Tuckett per girare a destra e attraversando il fondo del valloncello risaliamo la costa opposta sino ad arrivare alla targa che indica l’attacco della via. Superata la prima breve scaletta di ferro, continuiamo su alcuni facili gradoni rocciosi attrezzati con funi metalliche e staffe. Procediamo sul sentiero che ora attraversa ciclopici macigni testimoni di un’impressionante frana e guidati dai segnavia raggiungiamo senza difficoltà un piccolo altipiano che si apre ad occidente sul Carè Alto (3462m) e sui ghiacciai dell’Adamello (3530m). Poco oltre, il percorso appare interrotto da un improvviso e profondo vallone. La spaccatura appare impressionante ed insuperabile, ma con funi metalliche e staffe, la ferrata supera elegantemente questo ostacolo facendoci passare al di sotto di un piccolo e caratteristico ponte di roccia. Poco oltre pieghiamo a sinistra e con l’aiuto di scalette ci caliamo in una ciclopica spaccatura. Siamo nel punto più impegnativo della ferrata: ai piedi della “fatidica scala” che con un unico balzo scavalca un dislivello di 20 metri di altezza. Davanti a noi la grande parete verticale mette soggezione: la guardo dal basso, mi sembra infinita. Decidiamo che partirò prima io e poi Marino. Controllo l’imbragatura, affranco il primo moschettone alla staffa laterale ed il secondo agli scalini, ed inizio a salire: due, tre scalini e sposto il moschettone sui prossimi pioli, facendo attenzione che uno dei due moschettoni resti sempre affrancato. Ancora qualche scalino e la tensione iniziale comincia a sciogliersi. L’altezza non mi impressiona e non soffro di vertigini. Con calma proseguo senza difficoltà ammirando il paesaggio che si apre sotto di me. A metà scala mi fermo per riposare: il peso dello zaino mi spinge all’indietro e il mantenermi aggrappato con forza mi stanca. Ancora qualche scalino e sono in cima. Affranco alla parete il primo moschettone e poi il secondo, e mi godo la meritata pausa. Ora tocca a Marino, che sale adagio ed arriva in cima senza troppe difficoltà. Ci stringiamo la mano ed un abbraccio liberatorio scioglie la tensione accumulata. Facciamo qualche foto e proseguiamo sul sentiero che in alcuni punti è coperto di stelle alpine e qualche orchidea selvatica. Sempre su cengia, il sentiero piega poi verso oriente, da dove è possibile scorgere la testata della Val di Brenta con i quattro grandi gendarmi degli Sfulmini (2910m), e a Sud la grande mole di Cima Tosa (3173m) e del Crozzon di Brenta (3118m). Che meraviglia! Una targa indica il termine della ferrata, e dopo due brevi salti ben attrezzati, siamo sul sentiero che ci permette di raggiungere in poco tempo il Rifugio Brentei (2120m). Lo spettacolo è di quelli entusiasmanti: siamo ai piedi di cime mitiche, icone dall’arrampicata alpina, quali Cima Tosa (3173m), Cima Brenta (3173m) e i Campanili Alto (2937m) e Basso (2877m). Mangiamo un piatto di penne all’arrabbiata e ci spostiamo verso l’alto a far visita alla Cappella commemorativa del Brentei, restando in silenzio davanti alle foto di tanti giovani caduti su queste montagne per la loro passione. Abbiamo indugiato a lungo scattando foto e godendo dello splendido panorama ed adesso è ora di andare. L’itinerario che congiunge i due rifugi è un percorso classico che non presenta difficoltà particolari ad eccezione di un tratto leggermente esposto nei pressi della Galleria Bogani. Proseguendo con calma arriviamo al Rifugio Tukett ed il gestore ci comunica che ci ha cambiato la camera: adesso ne abbiamo una un po' più grande nella parte nuova del rifugio che condividiamo con altre quattro persone. Ceniamo e ben presto ci ritiriamo in camera: la stanchezza si fa sentire. Il mattino seguente facciamo colazione e torniamo al Grosté. Con la cabinovia scendiamo a Campo Carlo Magno, recuperiamo l’auto e ci avviamo verso la Val Camonica. Ci fermiamo al Passo del Tonale (1884m) e facciamo visita al sacrario monumentale: opera di Timo Bortolotti, fu realizzato negli anni '30 ed accoglie le spoglie di oltre 800 caduti fra italiani e austro-ungarici. Tanti ragazzi, e di alcuni non è riportato neanche il nome, morti durante la Guerra Bianca, che si combatté su queste montagne nella parte iniziale della Prima Guerra mondiale tra le truppe del Regno d’Italia e quelle Austro-Ungariche. Ci rimettiamo in macchina e mentre attraversiamo la Val Camonica dirigendoci verso il Lago di Iseo, penso a questi tre giorni nelle Dolomiti del Brenta, alle mie prime ferrate e l’esperienza è stata talmente forte ed emozionante che con Marino promettiamo di tornarci.
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